Altro che stringere i denti: “Due mesi col legamento lesionato”: dolore assurdo, ma sempre in campo | Ma basta fare l’eroe: “Operatelo subito”
Sacrificarsi per la squadra può diventare un clamoroso autogol: leggerezza imperdonabile, ora lo stop sarà lungo.
Conoscere il proprio corpo è uno dei “segreti” che viene richiesto ad uno sportivo. Del resto si sta parlando di vere e proprie “macchine”, che con il passare degli anni, attraverso allenamenti e impegni agonistici veri e propri, sono in grado di mandare segnali circa eventuali malfunzionamenti.
Del resto un conto è fare sport a livello amatoriale, un altro come professionisti. Non è un paradosso sostenere che il rischio di incappare in gravi infortuni sia superiore per chi gioca la partitella tra amici il fine settimana che per chi si allena ogni giorno e che a differenza dei propri colleghi “virtuali” sa fino a quando è il caso di tirare il proprio fisico.
Di fatto la stessa cosa che accade con un’automobile, solo che nel caso dell’uomo non esistono spie che si accendono e che fanno scattare ufficialmente l’allarme, indicando anche in maniera chiara dove andare ad intervenire per evitare guai peggiori, ovvero che a fermarsi sia direttamente il motore.
Per questo nel caso di uno sportivo è fondamentale appunto proprio saper leggere e interpretare anche i più piccoli scricchiolii. Mentali, prima di tutto, magari sotto forma di una difficoltà insolita nel recuperare da uno sforzo o nell’effettuare una serie di allenamenti che nei giorni normali vengono svolti quasi meccanicamente.
Giocare da infortunati: quando il coraggio diventa autolesionismo
Quando invece a “parlare” è il corpo potrebbe essere addirittura troppo tardi per evitare il classico patatrac. Quante volte si è sentito dire con riferimento a un giocatore infortunatosi “la speranza è che si sia fermato in tempo?”. Succede in presenza di un infortunio muscolare, di quella classica “puntura” che rappresenta di fatto l’ultima chiamata per evitare guai seri.
Tra il dire e il fare e nella fattispecie tra il farsi trasportare dall’adrenalina del momento e la lucidità di dire basta c’è però di mezzo l’indole di un atleta, che mentre svolge la propria professione non ha sempre la forza di chiamarsi fuori. Magari per aiutare la propria squadra in difficoltà oppure per aiutare… sé stessi, nel timore di perdere il posto.
Due mesi in campo con una lesione: errore fatale, ora il lungo stop
Purtroppo, però, in casi come questi il rischio è quello di incorrere nell’effetto contrario, perché giocando da infortunati non si fa il bene della squadra e si rischia uno stop ben più lungo. Ne sa qualcosa l’Udinese e il suo portiere Maduka Okoye, che via social ha fatto chiarezza sul grave infortunio che lo terrà lontano dai campi per diverse settimane.
Il giocatore nigeriano è incappato in una lesione al legamento scafolunato del polso destro: “Avevo giocato negli ultimi due mesi con un problema al legamento lesionato del mio polso, per adesso supporterò la squadra dalla tribuna” ha scritto Okoye. Un errore di gruppo, da condividere cioè con lo staff medico, ma che rischia di avere conseguenze sulla stagione dei friulani. Titolare da ormai un anno solare, dopo aver soffiato il posto a Silvestri, Okoye dovrà ora fare spazio all’esordiente Razvan Sava, che avrà alle proprie spalle il classe ’85 Daniele Padelli. Un peccato di generosità, quello del nigeriano, pagato caro.