“Ciao a tutti, belli o brutti”: il suo PROCLAMA lo ha fatto un leader politico VERO | “Il Presidente sono io”

Si può lasciare un segno profondo nel calcio e poi anche in politica: dal Pallone d’Oro alle presidenziali, senza mai cambiare filosofia.
Fa discutere una volta all’anno per diverse settimane, anche se in verità da qualche anno il dibattito si è fatto meno intenso e si è accorciato a livello temporale. Tuttavia, trattandosi di un premio assegnato da una giuria, sembra nato proprio per far discutere.
Stiamo ovviamente parlando del Pallone d’Oro, il più ambito riconoscimento individuale per un calciatore. Ideato da France Football, il premio è tornato da qualche anno sotto l’esclusiva egida della popolare rivista francese, dopo la breve e poco felice condivisione con la Fifa.
I tentativi di imitazione sono stati tanti negli anni e tra questi va incluso anche il ‘The Best’, premio assegnato proprio dal massimo ente calcistico mondiale al (teorico) miglior giocatore dell’anno solare. Lo stesso principio dovrebbe muovere anche i giornalisti-giurati del Pallone d’Oro, ma i dibattiti hanno spesso preso spunto proprio da qui.
Nel corso degli anni il regolamento è cambiato più volte, ma la svolta più importante è stata quella del 1995, quando si decise di coinvolgere anche giocatori non europei in forza a club del Vecchio Continente. Un cambiamento tardivo, avendo tagliato fuori per troppi anni miti come Pelè, Maradona o Zico, che avrebbero potuto fare incetta di Palloni.
Da Pallone d’Oro a statista: la leggenda del calcio oggi per tutti è ‘Il Presidente’
Anche per questo il primo Pallone d’Oro extra-Europa della storia è rimasto nella memoria di appassionati e tifosi. A trionfare fu George Weah, potente e talentuoso attaccante del Milan, campione d’Italia con i rossoneri nella stagione precedente. Le sue caratteristiche da attaccante moderno, tecnico, veloce, ma anche portato al dialogo e al gioco con e per la squadra, orientarono i giurati ben più rispetto ad un istinto del gol mai troppo spiccato.
Il prosieguo della carriera di Weah non sarebbe stato all’altezza delle premesse suscitate da quel trionfo, ma il mito dello sport liberiano è comunque riuscito a far parlare di sé anche dopo il ritiro grazie all’inattesa svolta intrapresa, che l’ha portato ad abbracciare una carriera politica di altissimo livello.

La laurea negli Usa e la lotta contro la povertà: le mille battaglie di George Weah
Impegnato fin da giocatore in campagne sociali quali la lotta al razzismo, Weah andò a vivere per un breve periodo negli Stati Uniti per studiare e conseguire una laurea in business administration, per poi avviare il percorso politico che, dopo l’elezione in Senato, lo portò a venire eletto presidente della Repubblica della Liberia nel gennaio 2015, incarico mantenuto fino al 2018.
Un ruolo svolto attraverso la carica di umanità che ha sempre caratterizzato Weah anche da calciatore. Il suo percorso in Serie A, dove ha scritto le pagine più importanti della propria carriera oltre che in Francia, gli ha infatti permesso di farsi apprezzare per correttezza e simpatia non solo dai tifosi del Milan. “Ciao a tutti, belli e brutti” è diventato uno dei suoi slogan più gettonati durante le interviste, effettuate in un italiano magari non perfetto, ma sempre coinvolgente. Una massima che Weah ha poi trasportato anche in politica, lottando in prima persona anche contro i poteri forti per l’abbattimento delle differenze di ceto e di classe.