Home » Medaglia d’oro olimpica, è finito a lavorare a Starbucks: 13 anni di Nba, ma per l’ex Celtics e Knicks l’alcool è stato troppo

Medaglia d’oro olimpica, è finito a lavorare a Starbucks: 13 anni di Nba, ma per l’ex Celtics e Knicks l’alcool è stato troppo

Nba - Fonte X - Ilgiornaledellosport.net
Nba – Fonte X – Ilgiornaledellosport.net

Ha fatto parte di un team leggendario, ma gli errori li pagano a caro prezzo anche i miti: 15 anni di carriera non salvano dall’oblio.

Di Dream Team ce n’è stato uno solo. I nostalgici del basket non hanno dubbi. La storia della pallacanestro ai Giochi olimpici è stata illuminata dalla decisione del Cio di accogliere i giocatori professionisti. Il 1992 è stato la prima edizione dopo la svolta epocale. Ed è entrata nel mito.

Per la prima volta i marziani della NBA fecero irruzione nel Villaggio al punto che i fortunati atleti di tutti gli sport che presero parte a Barcellona ’92 ricordano ancora oggi quasi con la stessa emozione la partecipazione alla cerimonia d’apertura e le medaglie vinte e la possibilità di aver conosciuto quelle leggende.

La nazionale più forte di tutti i tempi passeggiò come da pronostico e mai più nelle edizioni successive delle Olimpiadi il Team Usa sarebbe stato in grado di toccare quei picchi tecnici, pur potendo ovviamente permettersi di mandare ai Giochi sempre rosters altamente competitivi.

La cosa accadde anche a Sydney 2000, edizione per la quale il coach Rudy Tomjanovich poté contare su stelle come Alonzo Mourning e Jason Kidd. Certo, i tempi di Jordan, Pippen, Magic Johnson e Bird erano lontanissimi, pur essendo passati solo otto anni, ma Team Usa conquistò comunque la medaglia d’oro a mani basse.

Un anno da incubo e una vita di risparmi che sfuma: il declino dell’ex Dream Team

Nella rosa trovò spazio anche un centro di tutto rispetto, reduce da quattro presenze nell’All Star, oltre che da un inizio di carriera folgorante che nel ’94 gli permise di conquistare il titolo di rookie dell’anno. Nel percorso di Vin Baker sarebbe mancato l’anello, ma i tifosi di Bucks e dei Supersonics che furono lo ricordano comunque come un giocatore di ottimo livello.

Purtroppo, però, a Sydney Baker arrivò da comprimario, dal momento che la sua carriera aveva già iniziato una picchiata irreversibile a causa del dramma della dipendenza dall’alcool. Un problema iniziato in quel 1998 molto particolare per la NBA, con il rischio serrata e l’inizio ritardato del campionato. Fu così che gli ultimi anni di carriera per Vin si trasformarono in un autentico calvario, prima di essere costretto a cambiare radicalmente vita.

Vin Baker a Starbucks - Fonte X - Ilgiornaledellosport.net
Vin Baker a Starbucks – Fonte X – Ilgiornaledellosport.net

L’oro olimpico finisce a fare il cameriere: “La vita mi ha insegnato una lezione”

Dopo aver dilapidato tutta la ricchezza costruita durante la carriera, complici anche investimenti sbagliati e la necessità di mantenere quattro figli, già prima dei 40 anni Baker, dopo aver vinto la battaglia contro l’alcool, fu costretto a ripartire da zero e ad accettare la possibilità di lavorare barista per la catena Starbucks. “Quando impari lezioni dalla vita, la cosa importante è rendersi conto che ci sono cose che possono accadere. Un giorno i soldi ci sono, quello dopo possono sparire” avrebbe poi detto in un’intervista.

La forza di rimboccarsi le maniche è stata premiata dalla possibilità di tornare nella pallacanestro, come assistente dei Milwaukee Bucks durante la Summer League. Un commovente ritorno alle origini, sfruttato da Baker anche per mettere in guardia i giovani aspiranti campioni dai rischi e dalle tentazioni che la vita può presentare all’apice del successo.